Storia precolombiana
Si ritiene che le prime tracce di civilizzazione delle Ande boliviane risalgano a circa 21.000 anni fa. Le culture precolombiane più importanti furono quelle dei Tiwanaku, sulle sponde del Lago Titicaca, che dominarono la regione tra il 600 e il 1200 d.C., e degli Incas, che furono a capo di un grande impero che comprendeva buona parte degli attuali Perú, Bolivia, Ecuador e Cile settentrionale.
La colonizzazione spagnola e l’indipendenza
La conquista spagnola del paese iniziò nel 1531 con Francisco Pizarro. I conquistadores avanzarono rapidamente sfruttando la fiducia (e più tardi la mancanza di unità) degli indios per impadronirsi, nel giro di due anni, del territorio che venne identificato col nome di Alto Perú. Nel 1544 furono scoperti depositi di argento a Potosí, che divennero il sostegno dell’economia spagnola (e della stravaganza dei suoi monarchi) per più di due secoli. Le condizioni dei minatori erano spaventose e la maggior parte degli schiavi indios e africani moriva nel giro di pochi anni.
Le battaglie per l’indipendenza ebbero origine dal malcontento dei creoli, persone di discendenza spagnola ma nate nell’attuale Bolivia. Questi assunsero un ruolo attivo nell’economia, specialmente nel settore minerario ed agricolo, risentendo delle barriere stabilite dalle politiche mercantili della corona. Inoltre i creoli erano irritati dal fatto che la Spagna riservava tutti i posti amministrativi medio-alti agli spagnoli. Le profonde modificazioni culturali provenienti dall’Europa – tra tutte l’Illuminismo e la Rivoluzione francese – contribuirono a enfatizzare e ad ampliare il malcontento della popolazione. Spinti da molti malcontenti, i creoli diedero origine a una serie di conflitti che sfociarono prima nella proclamazione di uno Stato indipendente dell’Alto Perù (1809) e successivamente, nel 1825 a seguito della battaglia di Avacucho, alla proclamazione della fine del governo spagnolo in Bolivia.
Le guerre di confine
Con l’indipendenza il territorio della Bolivia divenne oggetto delle brame delle popolazioni confinanti. Tra le guerre di confine, la più importante è senza dubbio quella del Pacifico (1879 e 1884) combattuta contro il Cile. La sconfitta boliviana e i successivi trattati di pace portarono alla cessione del litorale oceanico, lasciando il paese senza accesso al mare. Poco dopo, Perú, Brasile e Argentinacominciarono a premere sulle frontiere. Nel 1932 una disputa di confine con il Paraguay per il possesso dei depositi di petrolio nella regione del Chaco si concluse con la perdita, per la Bolivia, di altro territorio. La guerra del Chaco (1932-1935) causò disordini all’interno del paese e favorì la creazione di associazioni riformiste, portando a una serie di colpi di stato da parte di militari solo in apparenza riformisti.
Il Movimento Nacionalista Revolucionario (MNR)
La svolta più significativa per il paese fu l’emergere del Movimiento Nacionalista Revolucionario (MNR). Nel 1951 l’MNR, guidato da Víctor Paz Estenssoro, vinse le elezioni, ma fu ostacolato da un improvviso colpo di stato militare che causò una rivolta armata popolare conosciuta come rivoluzione di aprile del 1952. I militari furono sconfitti e Paz Estenssoro andò per la prima volta al governo.
Nel 1964 una giunta militare con a capo il generale René Barrientos Ortuño rovesciò l’MNR. Seguì una lunga serie di regimi militari fino all’elezione del Movimiento de la Izquierda Revolucionaria(MIR), partito di sinistra guidato da Hernán Siles Zuazo, nel 1982. Tre anni dopo Zuazo fu sconfitto dall’MNR di Estenssoro, il quale cercò di frenare l’inflazione che aveva raggiunto livelli stratosferici (fino al 35.000% annuo) e applicò misure economiche assai rigide.
Gli scontri interni
Il 13 febbraio 2003, quando il governo propose di imporre una tassa del 12,5% sugli stipendi già di fatto bassissimi – in conformità alle richieste del Fondo Mondiale Internazionale, nel paese scoppiòun’ondata di manifestazioni, incendi e saccheggi, aggravata da scontri armati tra agenti di polizia in sciopero e soldati intervenuti anche con franchi tiratori delle forze speciali, dallo sciopero di gran parte dei pompieri (il bilancio è di 32 morti e 200 feriti). L’opposizione, guidata da Evo Morales, dirigente deicocaleros (produttori di coca) che erano già insorti a gennaio contro il progetto di sostituire la preziosa foglia con altre coltivazioni, chiese le dimissioni del presidente, tenuto contemporaneamente sotto pressione dai suoi compagni di partito che reclamavano un profondo rimpasto di governo. Si dovette così annullare il provvedimento. La situazione sembrava essere tornata normale dopo che il presidente aveva acconsentito al consistente rimpasto del governo, con soppressione di alcuni ministeri e tagli alla spesa statale. Ma un comunicato congiunto del 26 marzo di un rappresentante della polizia e di uno dell’esercito (sottoposti immediatamente ad azione disciplinare), rese evidente il malessere delle forze armate e della popolazione che chiedevano una distribuzione equa di terre ai contadini, la soluzione al problema della coca, l’aumento del salario minimo a 2.000 bolivianos (attualmente è fermo a 430), un’indagine sulle fortune di politici e imprenditori, l’industrializzazione del gas prima della sua esportazione e la difesa delle risorse naturali del paese. Violenti scontri scoppiarono nuovamente il 13 ottobre tra manifestanti e forze dell’ordine, lasciando a terra 23 morti e un centinaio di feriti. Durante le due settimane di sciopero le strade di La Paz furono ostruite da pietre, tronchi e spazzatura, impedendo la circolazione delle auto e l’esaurimento delle scorte di benzina. L’aeroporto di El Alto venne chiuso e mancarono i generi alimentari di prima necessità come pane, carne, frutta e verdura.
Nella notte del 18 ottobre il presidente Gonzalo Sanchez de Lozada si dimise e fuggì a Miami, per essere sostituito dal vice Carlos Mesa, che promise un referendum sull’esportazione del gas, causa principale dei disordini scoppiati in autunno. Nel 2005 accese proteste per la carenza di acqua e per il mancato intervento legislativo sugli idrocarburi diedero luogo a blocchi stradali che paralizzarono la già di per sé debole economia del paese. Il presidente Carlos Mesa presentò le sue dimissioni, respinte dal parlamento insieme alla sua richiesta di elezioni anticipate. Infine, nel giugno 2005, il congresso boliviano accolse le motivazioni di Mesa e nominò nuovo presidente l’avvocatoEduardo Rodríguez Veltzé che invocò la pace nel paese e promise di convocare al più presto le elezioni anticipate. Queste si tennero nel dicembre dello stesso anno, segnando la vittoria di Evo Morales, che diventò il primo presidente indigeno della Bolivia (e del Sud America).
La Bolivia di Morales
Poco dopo l’elezione il Fondo Monetario Internazionale annunciò di voler cancellare i due miliardi di dollari dal debito della Bolivia, in segno di un cambiamento per il paese, iniziato con il nuovo presidente. La sua politica fu da subito incisiva: lavorò per nazionalizzare l’industria energetica e formare un’Assemblea Nazionale Costituente con il compito di riscrivere la Costituzione. Controversa per l’Occidente resta la sua linea di condotta riguardo alla coca: oltre ad invitare gli Stati Uniti ad abbandonare i loro progetti di sradicamento delle piantagioni nel paese, perché considerati fondamentali per l’economia boliviana, ha manifestato la sua intenzione di promuovere alcuni derivati della pianta.
Cocaleros e cocaina
Oggi la Bolivia è terza al mondo, dopo la Colombia e il Perù, nella coltivazione della coca e nell’esportazione di cocaina, con circa 29.500 ettari di campi coltivati. La polvere bianca viene esportata principalmente in Brasile, Argentina, Cile, Paraguay ed Europa. Nonostante i programmi di estirpazione e di coltivazioni alternative condotte da ong e richiesti da governi stranieri (tra i primi gli USA), la coca rimane una fonte importantissima per la debole economia locale che oltre all’uso personale delle foglie non trattate (secondo la tradizione) cerca di sopravvivere con il commercio della sostanza lavorata e di narcotici, favorito da controlli inefficaci dei confini. Tutto questo ha certamenteincrinato i rapporti con gli Stati Uniti, la principale fonte di aiuti per il paese, aggravando una dura recessione culminata nel 1999 con il 20% di disoccupazione. Attualmente la Bolivia si sta impegnando a consolidare i suoi rapporti con gli altri stati del Sud America e a sostenere un mercato comune. Nonostante l’inflazione abbia raggiunto il 2% annuo, il ricordo dell’enorme inflazione del passato scoraggia ancora gli investitori stranieri. Il più grande problema nella struttura della società di oggi resta il baratro che separa il mondo degli affari e la maggior parte della popolazione, che guadagna lavorando la terra e che per il 60% vive al di sotto della soglia di povertà.
Musica, danza e arte del tessuto
Le tradizioni musicali boliviane variano da regione a regione. Le note andine dei desolati altipiani sono inquietanti e malinconiche, mentre quelle della calda regione di Tarija con il suo insieme di bizzarri strumenti hanno toni più esuberanti. Danze quali la cueca, l’auqui-auqui e il tinku hanno un posto importante nella cultura popolare. Tra le altre forme di espressione artistica emergono la filaturae la tessitura, che vengono praticate con qualche differenza a seconda della regione, ma che negli ultimi 3.000 anni sono cambiate di ben poco. Circa il 95% della popolazione della Bolivia si dichiaracattolica romana, ma l’assenza di sacerdoti nelle zone rurali ha portato alla fusione di credenze inca e aymará con il cristianesimo, creando un interessante intreccio di dottrine, riti e superstizioni.